Diffusa un tempo in tutto l’Appennino centrale, in particolare tra Marche, Lazio e Umbria, la coltura di amarene e visciole ha rappresentato per secoli una risorsa preziosa per molte aziende agricole. Questi piccoli frutti dal carattere inconfondibile dolci, leggermente aciduli e ricchi di profumi, erano considerati un vero tesoro della tradizione contadina. A partire dal 1500, le amarene compaiono frequentemente nei ricettari dell’epoca: utilizzate nei piatti popolari come nelle tavole aristocratiche, erano apprezzate non solo per il gusto, ma anche per le numerose proprietà benefiche attribuite alla loro polpa e al loro succo.
Tra le varietà più celebri spicca la cosiddetta “nana dei Castelli”, un tipo di amarena dalla bacca piccola e intensamente aromatica, che deve il suo nome al territorio dei Castelli Romani. Qui, per generazioni, i monaci cistercensi della Valvisciolo hanno coltivato con cura questi frutti, selezionando le piante migliori e tramandando una tradizione agricola che ha superato i secoli. Proprio grazie a loro, le visciole sono entrate stabilmente nella cultura gastronomica del Lazio, dando vita a confetture, sciroppi e preparazioni che ancora oggi raccontano la dolcezza dei colli laziali.
Oltre al loro impiego in cucina, amarene e visciole hanno sempre avuto un ruolo importante anche nella medicina popolare: venivano utilizzate come rimedio naturale per la digestione, per rafforzare il corpo durante i cambi di stagione e persino per preparare infusi considerati “ricostituenti”.
Curiosità: si racconta che i monaci cistercensi coltivassero le visciole non solo per nutrimento, ma anche per produrre liquori, elisir e conserve dal presunto potere “medicinale”. Forse avevano già compreso che un tocco di dolcezza fa bene non solo al corpo, ma anche allo spirito!
Oggi questa tradizione continua grazie ai piccoli produttori locali che custodiscono le antiche varietà e mantengono in vita un patrimonio agricolo e culturale unico, portando sulle nostre tavole un sapore che profuma di storia.