Da secoli si discute se la pasta sia stata introdotta nell’alimentazione quotidiana dai cinesi o dai siciliani: entrambe le culture l’hanno generata nei secoli, in modo quasi parallelo e indipendente, con ingredienti e tecniche differenti. Di certo in Italia la pasta era già conosciuta ai tempi degli etruschi, dei greci e dei romani.
A Cerveteri, nella tomba della Grotta Bella (tra il X e il IX secolo a.C.) sono stati ritrovati dei rilievi che raffigurano gli strumenti ancora oggi in uso per la produzione casalinga della pasta, come spianatoia, matterello e rotella per tagliare.
Nella letteratura classica, Aristofane e Orazio utilizzavano termini come làganon (greco) e laganum (latino) per indicare un impasto di acqua e farina, tirato e tagliato a strisce larghe, cotto in forno oppure in brodo o latte e condito per lo più con formaggio. Tuttavia, pur essendo simile a delle tagliatelle corte e tozze, non aveva ancora un ruolo preciso nell’alimentazione se non quello di contorno servito con altre pietanze più comuni, come carne, pesce, uova.
Nel Medioevo la pasta comincia a diffondersi come categoria in sé, con nuovi formati e un nuovo metodo di cottura, giunto fino ai giorni nostri, che consisteva nel bollire la pasta nell’acqua, nel brodo e talvolta nel latte. Agli Arabi, invece, dobbiamo l’invenzione della pasta secca che ben si conservava durante i loro spostamenti nel deserto e che permise di sviluppare gli scambi commerciali dal Sud Italia e dalla Liguria, dove il clima mite e temperato costituiva garanzia di perfetta essiccazione del prodotto. Il resto d’Italia, invece, per ragioni climatiche rimase legato alla produzione della pasta all’uovo, non essiccata e probabilmente nata dalla contaminazione con la “lagana” romana.
Ma la pasta, benché diffusa, non era ancora una pietanza di massa. Lo diventerà solo nel ‘600, quando una spaventosa carestia colpì il Regno di Napoli dominato dagli Spagnoli. Nella città partenopea, il sovraffollamento demografico e il fiscalismo spagnolo portarono la popolazione alla fame: i consumi di carne e di pane crollarono mentre la pasta divenne un alimento a basso costo, facilmente conservabile e in grado di saziare. La pasta era solitamente condita solo con il formaggio, raramente con qualche carne o con delle spezie. L’accoppiamento con il pomodoro avviene solo all’inizio del 1800, in particolare quando nel 1837 viene pubblicata la ricetta “vermicelli con la pummadora” in un libro di cucina scritto da Ippolito Cavalcanti.
Dopo l’unificazione d’Italia la pasta diventerà il simbolo dell’italianità anche fuori dalla città di Napoli. A tal proposito va ricordato Pellegrino Artusi, padre della cucina italiana, che non si limitò a raccogliere ricette in giro per l’Italia riunendole nella più grande opera della cucina italiana, ma creò anche la tradizione. Egli, infatti, diede alla pasta un ruolo autonomo, come primo piatto del menù italiano e non più un semplice contorno come era stato fino ad allora.